Renato Zero
Renato Zero, il cui vero nome è Renato Fiacchini, nasce a Roma il giorno 30 settembre 1950. Figlio di Ada Pica, di professione infermiera, e di Domenico, poliziotto di origine marchigiana, Renato vive la sua adolescenza nella borgata della Montagnola.
Frequenta le scuole fino alla terza media, poi l’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini, che lascia al terzo anno per dedicarsi completamente alla musica, alla danza, il canto e la recitazione.
Giovanissimo, inizia a travestirsi e ad esibirsi in piccoli locali romani: come sfida verso i tanti denigratori delle sue performance – “Sei uno zero” è una delle frasi che più si sente ripetere – assume il nome d’arte di Renato Zero. A 14 anni ottiene il suo primo contratto, al Ciak di Roma, per 500 lire al giorno. Viene notato da Don Lurio, in una delle tante serate trascorse al Piper, famoso locale notturno di Roma. Da qui, la scrittura per il gruppo di ballo I Collettoni, che fa da supporto a una giovanissima Rita Pavone nel suo show serale.
Registra poi alcuni caroselli per una nota marca di gelato. In questi anni instaura un’amicizia con Loredana Berté e Mia Martini. Nel 1965 Renato Zero incide i suoi primi brani – “Tu”, “Sì”, “Il deserto”, “La solitudine” – che non verranno mai pubblicati. La pubblicazione del suo primo 45 giri, arriva nel 1967: “Non basta sai/In mezzo ai guai”, prodotto da Gianni Boncompagni, anche autore del testo (le musiche sono invece di Jimmy Fontana), che vende soltanto 20 copie (verrà poi inserito come omaggio nel VHS “La notte di Icaro”, circa 20 anni dopo).
A teatro interpreta la parte del venditore di felicità nel musical “Orfeo 9” di Tito Schipa Jr. Al cinema lavora come comparsa in alcuni film di Federico Fellini (Satyricon e Casanova) e fa parte del cast della versione italiana del musical Hair, insieme, tra gli altri, a Loredana Berté e Teo Teocoli.
Nei primi anni Settanta, con l’avvento del glam-rock, caratterizzato da cipria, lustrini e paillettes, i tempi sono maturi perché Renato Zero possa proporre il suo personaggio, provocatorio ed alternativo. Zero racconta questa figura in brani come “Mi vendo” (serio e volutamente sfrontato grido di un “prostituto felice”) e, in genere, l’intero album Zerofobia, da “Morire qui” a “La trappola”, da “L’ambulanza” al brano-emblema della filosofia zeriana, “Il cielo”.
Nel disco, è presente anche una cover in lingua italiana, di “Dreamer” dei Supertramp, qui divenuta “Sgualdrina”.
Al periodo successivo (Zerolandia, la terra promessa dell’amore e dell’amicizia, senza distinzioni sessuali) si ascrivono pezzi come “Triangolo”, “Fermo posta” e la fin troppo esplicita “Sbattiamoci”, che si fondono e si completano con accorati messaggi anti-aborto, già presenti nei primi album (“Sogni nel buio”), nonché anti-droga (“La tua idea”, interamente scritta da Renato Zero, parole e musica, “Non passerà”, “Uomo no” e “L’altra bianca”) e contro il sesso troppo facile (“Sesso o esse”).
E proprio questa personalità unica che cattura negli anni un pubblico numeroso, al limite dell’idolatria: i cosiddetti “sorcini”, termine che ha poi sostituito quello originario di “zerofolli”. Il termine sarebbe nato nel 1980, quando trovandosi a Viareggio, mentre si spostava in auto, assediato dai fans che con i motorini sfrecciavano da tutti i lati, disse: “Sembrano tanti sorci“.
Nel 1981, ai suoi fan l’artista dedica il brano “I figli della topa”, inserito all’interno di “Artide Antartide” e tenendo fede a ciò che aveva scritto nel brano, l’anno successivo, organizzò le “Sorciadi” presso lo Stadio Eucalipti nei pressi di Viale Marconi a Roma, partecipando di persona alla premiazione dei vincitori, con grande entusiasmo da parte dei giovani fans.
Nelle composizioni più recenti dell’artista, e ad esempio nell’album “Il dono” si alternano temi sociali (“Stai bene lì”, “Radio o non radio”, “Dal mare”) e spirituali-esistenziali (“Immi ruah”, “La vita è un dono”).