Con la scienza e la filosofia, la teologia cristiana può e deve dare un contributo per una nuova cultura animalista, che è il presupposto per un corretto comportamento umano con gli animali e per modificarne altri che passano per razionali, normali e legittimi, ma che in realtà sono irrazionali e indegni.
La questione animale ed ecologica è un ambito dove è possibile e doveroso il dialogo e il confronto tra visioni culturali e religiose diverse, ma anche la condivisione e l’impegno comune per iniziative concrete per promuovere la causa animale.
La breve relazione tocca due cambiamenti del pensiero cristiano cattolico: il primo riguarda la concezione o l’idea della creazione; il secondo considera alcune questioni particolari.

I. UNA RINNOVATA CONCEZIONE DELLA CREAZIONE

La nuova cultura animalista ed ecologista è stata (ed è) una salutare provocazione per i cristiani (come singoli e come comunità di appartenenza), a ripensare la teologia della creazione e a interrogarsi su quale è il disegno del Creatore sull’universo (o altrimenti detto, creato, natura, cosmo, pianeta-terra) e su quanto contiene.
Alcune affermazioni fondamentali sono teoricamente acquisite:
a: L’universo e quanto esiste (realtà inanimata e animata) dice relazione al Creatore (visione teocentrica), prima che all’essere umano. E questo resta vero anche nella visione evoluzionista dell’universo.
b: L’universo e quanto esiste dice riferimento anche all’essere umano al quale viene dato dal Creatore il «dominium terrae (cf. Genesi 1, 28)». ma si tratta di un dominio (signoria) per «custodire» e «coltivare». In altre parole, l’essere umano, uomo e donna, non è padrone ma amministratore, e quello che si richiede all’amministratore è, come minimo, di non sperperare, distruggere il patrimonio ricevuto, ma appunto di custodirlo e possibilmente accrescerlo. Di certo, l’essere umano non si rivelato buon amministratore, ma pessimo padrone. La dignità propria dell’essere umano _ egli stesso parte della creazione _ non annulla né minimizza la dignità specifica delle creature non umane.
c: Il futuro promesso, nel disegno di Dio, riguarda solo l’essere umano e la comunità degli umani o anche l’universo e tutte le sue creature? Come intendere l’annuncio cristiano della trasformazione del cosmo nell’ultimo giorno?
Per rispondere, la teologia della creazione si collega alla teologia dell’escatologia (o teologia delle realtà ultime) e questa autorizza a ritenere che tra lo stadio finale e l’attuale faccia della terra esiste una continuità, che va compresa in termini di pienezza o di compimento. «Dio non fa perire _ hanno affermato i teologi italiani in un convegno del 1994 dal titolo Futuro del cosmo, futuro dell’uomo_ il vecchio mondo per farne sorgere uno nuovo dalla sua rovina, ma persevera nella fedeltà al mondo da lui creato e lo conserva e gli dà compimento».
Dio ha promesso «cieli nuovi e terra nuova (cf. Ap 21,1)», ma questa nuova realtà non sorge dalla rovina o dal nulla della precedente, ma dal suo compimento e trasformazione. La realtà futura (escatologica) non riguarda solo l’essere umano, ma anche il regno animale e l’ambiente naturale. L’apostolo Paolo è certo che tutta la creazione è raggiunta dalla redenzione: «la creazione attende con ansia la manifestazione dei figli di Dio… La creazione stessa sarà un giorno liberata dalla servitù della corruzione… Fino ad ora la creazione tutta geme e soffre le doglie del parto, Rm 8,19.21-22».
Siamo, dunque, autorizzati a pensare gli animali nella prospettiva delle realtà ultime (escatologia) e di godere un giorno anche della loro presenza? Così domandavano molte lettere al settimanale Famiglia Cristiana. Un incoraggiamento alla speranza è stato formulato da Paolo VI: «Anche gli animali sono creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono un segno dell’impronta universale del peccato e della universale attesa della redenzione».

L’orientamento escatologico della creazione è, dunque, di grande importanza. La sorte futura del mondo creato, e di tutte le creature, illumina e orienta la responsabilità umana nel salvaguardare l’intera creazione, che avrà compimento nell’ultimo giorno.
Su tali affermazioni si può comprendere che la questione ecologica in generale, e quella animalista in particolare, non sono estranee al messaggio che la Chiesa è chiamata a trasmettere: annunciare il progetto di Dio sul creato e su tutte le creature; denunciare la mentalità e i comportamenti che lo trasgrediscono e ostacolano. I casi purtroppo sono tanti, anzi troppi e, tra questi, il deplorevole abbandono degli animali, la sperimentazione cosiddetta scientifica che mutila e uccide, l’industria della pellicceria che serve solo alla vanità, la caccia per sport, l’allevamento in batteria e i mattatoi.

II. QUESTIONI PARTICOLARI

1. La questione anima degli animali
La questione anima conduce a comprendere la distinzione e il collegamento tra gli umani e i non umani. La filosofia classica parla di tre anime: anima vegetativa, propria di tutti gli esseri viventi; anima sensitiva, propria degli animali e dell’uomo; anima razionale, propria solo dell’essere umano che lo connota nella sua specificità. Tra i viventi, solo l’essere umano è capace di auto-consapevolezza e di libertà-responsabilità. In altre parole, l’essere umano è l’unico, tra i viventi, che sa di esistere (autocoscienza) e, quindi, è l’unico che si pone la questione del senso del vivere e dell’agire buono/cattivo, giusto/ingiusto. .
Oltre che alla filosofia, ci può riferire all’etologia che, in base a rigorose analisi, dimostra che gli animali sono dotati di sensibilità, di memoria, di comunicazione. Konrad Lorenz, nel libro, Egli parlava con i mammiferi, gli uccelli e i pesci, conferma con dati scientifici quanto è descritto nella storia e nella leggenda di Francesco d’Assisi. L’eminente scienziato, tuttavia, scoraggia chi vuole sostenere l’uguaglianza tra l’animale e l’umano. Nell’ultima intervista, rilasciata prima di morire, alla domanda su ciò che distingue l’uomo dall’animale, Lorenz risponde che «la riflessione è una proprietà tipicamente umana. Attraverso questa si arriva al pensiero concettuale…. al grande salto nell’evoluzione, ma anche all’anello che ci congiunge agli animali».
C’è, pertanto, continuità tra l’essere umano e gli animali, ma anche differenza che va riconosciuta proprio per rispetto agli animali. Per questo, non c’è bisogno di promuoverli al rango di umani per accrescerne l’importanza: non sarebbe che un modo di svilirli e, con loro, Colui che li ha creati. La teoria dello specismo e quella opposta dell’uguaglianza sono due aspetti della medesima medaglia: il non riconoscimento della specie animale per sé stessa. La dignità dell’essere umano non toglie né diminuisce la dignità dei viventi non umani.
È falsa l’idea di superiorità che legittima un certo disprezzo della natura nel suo insieme e degli animali in particolare. Alcune correnti letterarie e scientifiche (forse le più dominanti nella storia) hanno collocato spesso e superficialmente, da una parte, l’uomo ragionevole e, dall’altra, il bruto (dal latino brutus che significa insensato) per designare la bestia (da cui deriva “bestialità”).

2. La questione dei diritti degli animali
Non è determinante dirimere la questione se gli animali abbiano o meno dei diritti. È determinante, invece, che il soggetto umano si renda consapevole che ha precisi doveri, e non soltanto diritti da rivendicare.
Le piante e gli animali, e quanto esiste, hanno certamente una ragione di utilità rispetto all’essere umano, ma in primo luogo hanno un valore finale, sono un valore in sé e per sé.
In opposizione a una cultura utilitarista, è necessario riconoscere che gli animali, prima di un valore strumentale, hanno valore finale (sono un bene per stesti e, insieme con l’essere umano, fanno riferimento al Creatore.
Tale concezione delegittima luoghi comuni e prassi consolidate dove è evidente la concezione strumentale dell’animale: acquisire conoscenze specifiche e nuove tecniche chirurgiche con sperimentazioni che distruggono o mutilano l’animale; risolvere la questione trapianti con organi di animali. Per non parlare di consuetudini estreme che passano, purtroppo, per normali: l’uso degli animali per sport e divertimenti di massa.

3. Il comandamento Non Uccidere
È il comandamento che Dio, tramite Mosè, ha dato al popolo di Israele. Gesù, il nuovo legislatore, lo porta oltre l’originaria definizione: «Avete inteso che fu detto: “Non uccidere”… Ma io vi dico…» di non odiare, di non offendere, di amare e perdonare. Il comandamento è posto nell’orizzonte dell’amore, che include e supera la giustizia, e raggiunge il vertice nel mistero del Golgota. È impossibile giustificare, in nome del Vangelo, l’uccisione e la violenza dell’individuo su altro individuo umano. La violenza non trova alcuna legittimazione morale, non può mai dirsi giusta.
L’interpretazione tradizionale che limita il comandamento «Non uccidere» ai soli esseri umani, è da ripensare. Infatti, il comandamento, nella sua dizione sintetica, dice: «non commettere omicidio», ma «non uccidere». Si può fondatamente affermare che il comandamento «Non uccidere» non si riferisce ai soli umani, ma anche agli animali. In ogni caso, la comprensione della creazione e del suo futuro ultimo conduce a estendere il comandamento anche agli animali. L’universo (e tutte le sue creature) è affidato all’essere umano, perché lo custodisca e lo porti a compimento secondo il disegno di Dio.
Non uccidere è doveroso, ma non basta La vita non è produzione dell’essere umano, non l’ha creata lui, e quando l’ha distrutta non può più ricostruirla. È necessaria una conversione, individuale e collettiva, a una nuova mentalità di tipo etico. Segnali in questa direzione non mancano e fanno sperare che, in futuro, i cattolici non avranno bisogno di ricorrere ad altre culture o religioni per coltivare un corretto e pacifico rapporto con gli animali. Onorare Dio significa anche onorare tutte le creature.

4. La questione vegetariana
La questione vegetariana pone la questione dell’alimentazione. La morale cattolica, come si sa, non impone alcun obbligo né per l’uno né l’altro tipo di alimentazione, ma questo non vuol dire che siano moralmente uguali e che sia indifferente scegliere l’uno o l’altro. Uno, infatti, presuppone l’uccisione dell’animale, l’altro no.
Non è che tutti devono diventare vegetariani, ma è doveroso per tutti coglierne il messaggio: «perché l’animale viva». D’altra parte, che l’essere umano sia carnivoro o frugifero è una questione anche scientifica e tutt’ora in aperta discussione. Così non è prudente stabilirla per altri, ad es., per bambini o per chi non è in grado di farne una scelta libera e consapevole.
In altre parole, sebbene non ci sia l’obbligo per l’alimentazione vegetariana, tutti sono chiamati ad avvertire la differenza abissale tra il mangiare carne per necessità e la fiorente industria della carne, fatta di mattatoi, allevamenti intensivi, lunghi trasporti nel patimento degli animali, quale è invalsa nelle società cosiddette avanzate. Così è anche impossibile giustificare la caccia per sport, per divertimento. Tutto questo può sembrare normale e motivato, mentre tutto è anormale, irrazionale e disumano.

III. CONCLUSIONE

Si può concludere con Léon Bloy, scrittore e poeta, e la sua riflessione sul mondo animale. «Non si bada al fatto che le bestie sono altrettanto misteriose dell’uomo e si ignora assolutamente che la loro storia è una scrittura per immagini, in cui risiede il segreto divino. Ma non si è presentato ancora _ concludeva _ nessun genio per decifrare l’alfabeto simbolico della creazione».
Il credente si rende consapevole che quanto esiste (realtà inanimata e animata? è opera della azione creatrice di Dio e termine della sua Provvidenza, intesa come creazione che continua. La questione animalista ed ecologica, pertanto, non è estranea o indifferente al credente, lo riguarda direttamente e lo chiama in causa proprio come credente. Unitamente a tutti gli uomini e donne di buona volontà non potrà non impegnarsi per la via che costruisce la bellezza del creato e delle sue creature e allontanarsi da quelle che distruggono e avviliscono le creature di Dio, nessuna esclusa.